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Codice: 9788879694933

Non vi è alcun dubbio che ogni epidemia, come tutti i fatti storici, abbia caratteri propri. Diversi sono gli elementi da cui ciascuna ha origine, la contagiosità, i livelli di mortalità che provoca; differenti le fasce di età che maggiormente colpisce; variano le capacità di difesa e di reazione delle popolazioni interessate. Ciononostante rimane il fatto che ogni volta la diffusione di batteri e di virus è preceduta, accompagnata, agevolata dalla interazione di fattori di carattere ecologico e antropico (pressione demografica, occupazione di nuovi spazi, turbolenze climatiche, carestie, alto livello di movimento di uomini e merci, conflitti militari…); di solito l’azione della pandemia avvia il declino di sistemi politico-istituzionali ed economici, provoca o accelera la conclusione di cicli storici,

La “peste” (ma potrebbero essere state febbri tifoidi, ebola…) colpisce Atene nel 430 a.C. nel pieno della guerra del Peloponneso, mentre deve fare fronte, scrive Tucidide, «al continuo afflusso di contadini» che fuggono dalle campagne devastate dall’esercito nemico e cercano riparo e sussistenza entro le mura della città. Alla distruzione materiale si aggiunge la disgregazione della società civile, il crollo della legalità fino ad allora «vigente nella vita cittadina». Lo stravolgimento economico e sociale che ne segue dà inizio alle difficoltà della capitale dell’Attica.

Se ci sono dubbi sui caratteri del morbo che assale Atene, pare accertato che sia Yersinia pestis, peste nera, portata dall’Asia attraverso l’Egitto dalle navi cariche di cereali, e con essi di ratti e pulci, il contagio che dal 542 d.C. – e che per duecento anni si ripropone con ripetute ondate – colpisce l’Impero Romano, in particolare la popolosa capitale Costantinopoli, quando Giustiniano è impegnato a riconquistare dai Goti la penisola italiana con un imponente sforzo militare, che per alcune regioni diventa devastante. Da decenni l’Europa e l’Asia sono al centro di un progressivo deterioramento climatico e gli anni Trenta e Quaranta del secolo VI sono tra i più freddi della tarda antichità. Violente esplosioni vulcaniche immettono nell’atmosfera un’ingente quantità di gas e di materiale piroclastico, che riducono drasticamente l’azione del sole: il 536 è «anno senza estate» e l’inverno “vulcanico” si ripropone tra 540 e 541. Clima avverso, carestie e bacillo della peste in due anni riducono di circa quattro milioni gli abitanti dell’Impero, dai ventisei dell’inizio degli anni Quaranta, e di altri cinque nei sessant’anni successivi, avviandolo al declino. Sotto Giustino II, successore di Costantino tra il 565 e il 578, i Longobardi occupano gran parte della penisola italiana, gli Slavi entrano nei Balcani, gli Avari si insediano lungo il Danubio. Ma, mentre gli uomini sembrano muoversi nel «dominio della notte», perché la crisi è profonda e papa Gregorio I, eletto nel 590 dopo che Pelagio II è morto di peste e una grande inondazione del Tevere a Roma ha fatto crollare abitazioni e ha sommerso i depositi di grano, si chiede se non si stia per «assistere alla fine del mondo», dal drammatico VI secolo, attraverso la strada indicata dallo stesso pontefice della convivenza tra Papato e Impero, tra romanici e popoli giunti da fuori, con l’azione di eremiti e monaci che recuperano alla coltura foreste e acquitrini e favoriscono il ripopolamento delle campagne, in Occidente si avvia una nuova fase, che prelude al grande sviluppo del Medioevo. «Un mondo finiva rapidamente, ha scritto Vito Fumagalli, un altro, molto diverso, stava per nascere».

Non meno traumatica è la nuova ondata di peste, che, ancora da Oriente, investe l’Europa e tra 1346 e 1350 ne riduce di un terzo la popolazione. La mortalità è stimata tra il 60 e il 70 per cento dei contagiati. L’ottimismo col quale, nonostante qualche segnale di preoccupazione si possa cominciare a cogliere, si chiude il Duecento, per la plurisecolare espansione medievale, si spegne nei primi quattro decenni del secolo successivo, quando pressione demografica, scambi commerciali intensi e ad ampio raggio, esplosione della guerra dei cento anni e focolai di conflitti sociali territoriali, turbolenze climatiche e carestie, crolli monetari e rarefazione di circolante, incremento della povertà, predispongono le condizioni per la rapida diffusione del contagio. Col tragico fardello dei decessi, la pandemia travolge assetti economico-produttivi fiorenti, spezza solide reti commerciali, ha ricadute pesanti sulla vita delle comunità. A Firenze, già colpita dalla grave carestia del 1329, la peste, scrive Boccaccio, provoca «tanta afflizione e miseria [alla] reverenda autorità delle leggi, così divine come umane […]; per la qual cosa era a ciascun licito quanto a grado gli era d’adoperare». Tramonta la prospettiva del Sacro Romano Impero, come ancora cinquant’anni prima Dante lo teorizzava. La ripartenza, nella prima metà del Quattrocento, superate le fasi più gravi dell’epidemia, avviene nel nome dell’innovazione politico-istituzionale e economico-produttiva. La cesura è anche culturale. Gli umanisti, sulla scia di Petrarca e Boccaccio, ridanno vita alla classicità greco-romana. Caduta l’idea del governo universale, l’Europa entra «in una nuova epoca della propria storia, diversificata quanto mai prima». Reazioni e riassestamenti seguono percorsi diversi nelle varie regioni del continente; si afferma la differenziazione rispetto ai modelli prevalenti fino al 1346.

La più grande pandemia del secolo XX, la “spagnola”, compare in Spagna e in Cina come leggera malattia dell’apparato respiratorio a febbraio 1918, nel pieno del primo conflitto mondiale; nei mesi successivi prende forza nelle trincee e ha un veicolo straordinario di trasmissione, come già per il tifo e altre forme epidemiche nei secoli precedenti, negli spostamenti degli eserciti, che realizzano una specifica “globalizzazione”. Pare che soltanto il Canada, ampie zone dell’Africa e dell’America Meridionale, territori non toccati dalla guerra, ne siano esenti. Si calcola che il virus colpisca tra i 500 milioni e un miliardo di persone, su una popolazione globale di circa 1,8 miliardi. Si aggiunge alla tubercolosi e alla ripresa di malattie respiratorie che proprio nel 1918 hanno un’impennata, in un ciclo peraltro ultradecennale di progressiva riduzione. Con andate successive la spagnola imperversa fino alla primavera 1820; colpisce soprattutto i giovani adulti tra i 15 e i 40 anni, con particolare incidenza sulle donne. Per l’alta letalità produce un numero di vittime ben più alto di quello, pure drammatico, registrato sui campi di battaglia: si calcola tra i 50 e 100 milioni in tutto il mondo, compresa la mortalità per cause indirette; tra i 400 e i 600 mila in Italia, che in Europa ha probabilmente il numero più alto di decessi dopo la Russia e uno dei tassi più elevati di mortalità. Riprendono corpo paure mai sopite e antiche superstizioni. Il lungo e duro inverno 1918-1919 favorisce la ripresa del virus, come pure delle altre forme influenzali e della tubercolosi; ma il maggior alleato della spagnola è ovunque lo stato di «prostrazione della popolazione», piegata da anni di denutrizione, costretta alle dure condizioni di vita nei fronti di guerra e sottoposta nei campi e nelle fabbriche a lavori estenuanti, a cui devono far fronte soprattutto donne e anziani.

A distanza di cento anni dalla spagnola, in contesti completamente differenti, l’umanità è alle prese con una nuova gravissima pandemia i cui esiti e le cui ricadute sono difficili da immaginare. È la condizione che ha sollecitato la rivista di storia «Marca/Marche» ad avviare una riflessione su eventi epidemici del passato, diversi tra loro per estensione e incidenza, che hanno interessato le Marche e ampie zone dell’Italia centrale, per approfondire la conoscenza di quale impatto esse di volta in volta hanno provocato sulle comunità interessate, locali e interregionali, e di come in ogni circostanza le stesse comunità hanno affrontate, hanno saputo reagire e riprendere il cammino. Grazie all’impegno degli autori il quadro che emerge, ancorché non completo, è ricco, e soprattutto, in alcune situazioni, apre nuove strade di ricerca, non agevoli, ma che possono dare risultati di conoscenza importanti.

 

Caratteristiche del volume:

Ft. 170x240 mm, 20021, 384 pp.


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