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Codice: 9788879694780

Nelle Marche fin dal 1863 tutti i Comuni erano forniti di scuola; nell’inchiesta Corradini del 1907, con 22,3 scuole ogni diecimila abitanti, la regione supera la media nazionale (allora attestata a quota 19,5), ma si caratterizza per un basso numero di alunni e per un alto tasso di abbandono scolastico. Ecco perché l’analfabetismo, che in regione era all’83 per cento nel 1861, nel 1907 è ancora al 62,9 per cento; per farlo diminuire in modo più rapido sarebbe stato essenziale ridurre l’abbandono scolastico e operare per diffondere l’istruzione nel mondo degli adulti. Se si guarda al grado di istruzione della popolazione in età di 15-30 anni, ovviamente i dati sono molto diversi, ma nel 1911 nella regione l’analfabetismo interessa ancora un terzo dei maschi e quasi la metà delle femmine.

Per quello che riguarda l’istruzione secondaria, nel 1860 il commissario straordinario Lorenzo Valerio istituisce tre licei governativi (a Senigallia, Macerata e Fermo); tre istituti tecnici (ad Ancona, Fabriano e Pesaro), oltre a un istituto con sezione agronomica a Jesi; due scuole normali maschili (Ascoli e Urbino) e due femminili (Ancona e Camerino); l’istituto di Belle Arti a Urbino; infine, un istituto d’arti e mestieri a Fermo. Questa rete, che tiene conto di molte scuole preesistenti, si sviluppa poi nei decenni seguenti; negli anni Ottanta si contano 33 licei classici (ai quali andrebbero aggiunti i numerosi istituti classici collocati nei seminari) e 31 istituti tecnici. Fra gli istituti a indirizzo classico vanno annoverati anche molti corsi ginnasiali, mentre le scuole tecniche sono affiancate da numerosi corsi professionali con un taglio pratico, rivolti prevalentemente al mondo dell’agricoltura e dell’artigianato urbano. La sostanziale parità fra i due rami di insegnamento dimostra che la classe dirigente marchigiana di formazione risorgimentale punta a sviluppare l’istruzione tecnica. 

A fine Ottocento, con una economia ancora caratterizzata da una fortissima prevalenza dell’agricoltura, nella regione si segnalano innanzitutto ben quattro Regie Scuole pratiche di agricoltura (Macerata, Pesaro, Ascoli Piceno e Fabriano), oltre all’ancora attiva sezione di agronomia dell’Istituto tecnico di Jesi e a una miriade di altre iniziative, pubbliche e private, dalle cattedre ambulanti a varie scuole locali; al di là del giudizio sul ruolo da esse avuto nell’ammodernamento dell’agricoltura della regione, quelle scuole comunque testimoniano le notevoli aspettative riposte nell’istruzione agraria dalla classe dirigente marchigiana.

In una regione appartata ma non periferica come le Marche, oltre ad alcune “società economiche” nella seconda metà dell’Ottocento sono attive varie istituzioni pubbliche e private e tre università (Macerata, Urbino e Camerino) indubbiamente piccole, ma che stimolano l’ambiente culturale della regione. In questo humus, reso fertile dalle esperienze pre-unitarie, mentre cresce fortemente l’intervento dello Stato, si prende coscienza della necessità di dar vita a nuove forme di istruzione tecnica nel settore nautico e in quello industriale. Da questa consapevolezza dopo l’Unità prendono avvio ad Ancona l’Istituto nautico e a Fermo una delle scuole di arti e mestieri più significative nell’Italia del secondo Ottocento: non solo perché chiaramente ispirata al modello francese della “scuola-officina”, promosso dal Conservatorio di Arti e Mestieri di Parigi, ma soprattutto perché per decenni concretamente diretta da due ingegneri francesi formatisi proprio nel Conservatorio parigino.

Di questa realtà qui vengono indagate soltanto alcune esperienze: un Liceo classico, quello di Osimo, sorto in una città dove fin dal Settecento operava il noto Collegio Campana; due Scuole pratiche di agricoltura, quelle di Ascoli Piceno e di Macerata; l’Istituto industriale di Fermo e l’Istituto nautico di Ancona, oltre a due Scuole professionali, la Scuola di disegno di Recanati e la Scuola degli Artigianelli di Fermo. La realtà della regione è ben più ricca, ma le storie raccolte in questo fascicolo di «Marca/Marche» forniscono un quadro ugualmente significativo: raccontano il ruolo centrale svolto dalla scuola nella modernizzazione di un Paese appena unificato dopo secoli di divisioni, segnato da un diffuso analfabetismo, arretrato economicamente e culturalmente. Lo dovrebbe ricordare l’attuale classe dirigente, politica e imprenditoriale: una classe dirigente che dalla fine del Novecento, quando sono emerse difficoltà di bilancio per l’eccessivo debito dello Stato, ha subito tagliato i fondi per la scuola e i servizi sociali. E al tempo del Covid ha chiuso le scuole per più di un anno dimenticando, oltre al ruolo culturale, il fondamentale ruolo di socializzazione svolto dall’attività scolastica. 

Nel 2014 Enrico Testa, docente di Storia della lingua italiana all’Università di Genova, dopo aver ricordato che oggi «il 70 per cento della popolazione presenta serie difficoltà a usare la lingua nelle forme della lettura e della scrittura ed è definibile a rischio di analfabetismo di ritorno», ha sintetizzato così i problemi della scuola italiana: i ceti politici e i gruppi dirigenti del nostro Paese sentono la scuola «più come un fastidio che come una risorsa»; lo dimostrano «il perpetuarsi dei tagli dei fondi alla scuola e all’università, la miopia politica e imprenditoriale nei confronti di larghi strati di analfabetismo, la mancata attenzione (su cui tante volte ha insistito Tullio De Mauro) nei riguardi di un settore importantissimo come quello dell’educazione degli adulti, la volontà ministeriale di applicare il modello aziendale alle strutture didattiche». 

Nella società della conoscenza non c’è futuro per un Paese che non crede (e non investe) nella scuola. Va ripetuto: la scuola è una risorsa fondamentale per un Paese come l’Italia; non è soltanto Enrico Testa a dirlo: lo attestano le storie di scuole qui raccolte, lo confermano le analisi e le riflessioni degli insegnanti riportate nelle pagine che seguono.

 

Caratteristiche del volume:

Ft. 170x240 mm, 2021, 400 pp.


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