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Codice: 9788879694261

Questo fascicolo di «Marca/Marche» punta a presentare alcune storie di comunità, più o meno grandi, individuate come significative per la nostra regione e ricostruite da studiosi di diversa formazione, in genere storici e sociologi. Obiettivo di fondo è quello di far emergere il percorso che ha portato alla costruzione della comunità analizzata, i soggetti che più hanno contribuito a tale costruzione, i momenti di svolta (non solo positivi, ma anche negativi) nella vita della comunità.

L’idea del fascicolo nasce dal dibattito che nel 2017 si è acceso sulla ricostruzione in atto nell’entroterra marchigiano colpito dal terremoto; si è voluto verificare se l’analisi storica può aiutare a meglio comprendere i meccanismi che favoriscono (oppure ostacolano) i rapporti comunitari e si è voluto anche dare spazio alle riflessioni proposte da chi a vario titolo sta operando nei paesi sconvolti dal sisma. Ma il tema può avere un interesse più ampio, dopo l’approvazione della nuova legge per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli Comuni.

Dal punto di vista storico, l’attenzione per le piccole comunità non è certo mancata nella storiografia internazionale e anche in quella italiana. Alla fine degli anni Settanta, visto il successo ottenuto in Francia da un nutrito numero di studiosi, esponenti della nouvelle histoire, l’editore Einaudi aveva persino inaugurato una collana, intitolata appunto “Microstorie”. La nuova collana, diretta da Giovanni Levi, Simona Cerutti e Carlo Ginzburg, ospitò una ventina di volumi. Da una parte, sul modello di Montaillou (il villaggio occitanico studiato nel 1975 da Emmanuel Le Roy Ladurie), si trattava di storie di piccole comunità: come gli abitanti di Peglio, con le loro strategie matrimoniali analizzate in Il paese stretto da Raoul Merzario; o la comunità di tessitori di una valle piemontese studiata in Terra e telai da Franco Ramella; o il villaggio ligure di Fontanabuona indagato in Faide e parentele da Osvaldo Raggio. Dall’altra, sul modello di un libro americano (The Return of Martin Guerre di Natalie Zemon Davis) si trattava di storie di personaggio più o meno noti, ma significativi in un’ottica più generale: le Indagini su Piero (Piero della Francesca) di Carlo Ginzburg, L’eredità immateriale di Giovanni Levi, fino ai gruppi sociali attivi nel mondo del lavoro torinese, studiati nel 1990 in Mestieri e privilegi da Simona Cerutti. 

Negli stessi anni anche la rivista «Quaderni storici» aveva dato spazio a temi analoghi; nell’ottica di questo numero di «Marca/Marche», di particolare interesse risulta ancora oggi il fascicolo dedicato nel 1981 al tema “Villaggi”: quattro saggi di taglio antropologico, con una breve ma densa introduzione di Giovanni Levi che aveva richiamato la necessità di inserire il particolare nel generale, il micro nel macro, ma evitando di giungere a «piatte generalizzazioni» e rinunciando «all’ingenua pretesa che il micro sia immediatamente coerente col generale». In quell’introduzione Levi aveva aggiunto una ulteriore precisazione che può essere assunta a manifesto del discorso qui sviluppato: «La scelta della dimensione comunitaria è un artificio; non ha pretese ideologiche ma è l’ambito in cui si possono vedere in movimento concretamente le persone e i gruppi», gli aggregati sociali e le istituzioni locali. 

I saggi di Augusto Ciuffetti, Luigi Rossi, Carlo Verducci, Girolamo Allegretti, Marco Giovagnoli e Agata Turchetti, pubblicati qui di seguito, si muovono appunto in questa direzione. Andando alla ricerca di «tracce di comunità», per riprendere il titolo di un libro di Arnaldo Bagnasco, quei saggi raccontano alcune esperienze di comunità nel loro formarsi e trasformarsi e si sforzano di ricostruire l’effettivo strutturarsi (o, di contro, il destrutturarsi) di singole comunità locali nel concreto della loro storia.

Diverso il discorso se il tema viene analizzato dal punto di vista sociologico. I sociologi hanno a più riprese chiarito che l’uso del termine “comunità” è problematico non solo perché nella stessa parola si sovrappongono significati diversi, tanto da risultare una categoria interpretativa ambigua, ma anche perché quel termine comporta una evidente difficoltà di precisazione concettuale. Marco Giovagnoli analizza questi aspetti nel suo saggio introduttivo, significativamente intitolato La “difficile” idea di comunità, invitandoci alla cautela nell’utilizzo del concetto di comunità. È un concetto che, contrapposto a quello di società (oppure, oggi, di mondo globale), evoca gruppi non solo «spazialmente circoscritti», ma anche «coesi e solidaristici»; la realtà è spesso diversa: frutto di legami di sangue, legami di luogo e legami di amicizia (o di “spirito”), la comunità territorialmente radicata non necessariamente è un aggregato solidale. E, pur fornendo forme di protezione quando lo Stato non ha ancora costruito la sua rete di protezione, più volte arriva a limitare la libertà individuale con un soffocante controllo sociale. Allo stesso modo, l’aggregarsi degli individui attorno a un luogo e l’esperienza del convivere nel paese o nel villaggio rafforzano il comune sentimento di appartenenza e, anche in tempi di appartenenze plurime, producono indiscutibili elementi di identificazione; tuttavia la percezione dell’identità viene spesso utilizzata in modo divisivo, non per includere, ma per porre un confine nei confronti di chi è esterno alla comunità. Di contro, istanze solidaristiche di tipo comunitario/identitario sembrano oggi potersi affrancare dal legame con un territorio spazialmente definito, rendendo ancor più articolato il lavoro definitorio su ciò che è “comunità”.

Pur con queste precisazioni, sulla scia delle elaborazioni di Carlo Trigilia e Manuel Castells, il richiamo alla comunità si rivela utile. È utile, come scrive Giovagnoli, non solo perché, nonostante si tratti di un concetto ambiguo e ingombrante, la comunità resta al centro della narrazione collettiva, ma soprattutto perché, riconoscendosi come tale, la comunità permette ai suoi appartenenti di riappropriarsi di spazi di autonomia e di auto-organizzazione che la rendono capace di incidere nella rigenerazione dell’economia locale e nella formazione dei processi decisionali. Che questo sia possibile, almeno nella sua dimensione di ‘orizzonte progettuale’, lo dimostra proprio Giovagnoli con la dettagliata analisi microanalitica condotta nel saggio Ritorno a Genga: è ancora il territorio nella sua concretezza, pur con le sue reti lunghe, l’ambito elettivo dell’agire comunitario, purché lontano dalle trappole della chiusura localistica e della vacuità del virtuale.

La parte monografica di questo fascicolo si chiude con la tradizionale proposta di una rilettura; in questo caso però il saggio scelto (La villa. Un microcosmo ecosistemico, dal volume di Olimpia Gobbi I Sibillini oltre il mito) è stato aggiornato e in parte riscritto dall’autrice per renderlo più funzionale alle finalità del fascicolo ed è quindi molto più che una semplice “rilettura”.

La sezione Confronti, infine, ospita tre interventi più strettamente legati alle vicende del post sisma e al tema della ricostruzione; sono interventi dedicati a illustrare esperienze, a suggerire riflessioni e a presentare proposte capaci di favorire la rinascita dei paesi del cratere. Insomma un fascicolo ricco e stimolante che, riflettendo sulla «difficile idea di comunità», si sforza di fornire indicazioni utili per affrontare un tema altrettanto difficile: quello della ricostruzione dei paesi distrutti dal sisma del 2016.

 

Caratteristiche del volume

Ft. 170x240 mm, 2019, 344 pp.


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