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Codice: 9788879692137

La produzione artistica di Pio Panfili va dall’affresco all’incisione, dapprima prevalentemente in ambito fermano, poi nella città di Bologna, in cui egli, dopo esserne stato allievo, fu membro dell’Accademia Clementina. Fermo vanta massimamente lo spessore artistico e civico degli affreschi della Sala dell’Aquila nel Palazzo dei Priori, con magnifici effetti di dilatazione spaziale, la raffinatezza delle decorazioni dei soffitti del Duomo, di quattro sale e della cappellina di Palazzo Guerrieri, e la vicina Montegiorgio l’eleganza del soffitto della scalea del convento dei Minori Francescani, opere cui sono dedicati singoli capitoli nell’organica disamina della lacopini; la città felsinea fu immortalata con tecnica magistrale, con una verità e una minuzia che potremmo dire fotografiche, in straordinarie incisioni che ne restituiscono fedelmente il volto dell’epoca, con l’antica Dogana e le Carceri, la strada detta Mercato di mezzo, la Seliciata di S. Francesco..., ma soprattutto con l’umana e realistica vivacità dei personaggi di cui le vie e le piazze del tempo brulicavano, spesso colti in sapide scenette, che l’accurato editore Livi consente di gustare attraverso copiose e pregevoli illustrazioni. Della stessa Fermo, il piacevole incisore ha lasciato testimonianze interessantissime in alcuni capilettera, da cui riemergono, nella «S», l’aspetto della Cattedrale prima del rifacimento del Morelli, nella «V» le lapidi con stemmi ed iscrizioni che furono poi scalpellate dai napoleonidi e le due piramidi in pietra alla base della doppia scalea nel Palazzo dei Priori.
Le varie vedute, nel solco delle prospettive scenografiche della migliore tradizione quadraturista emiliana, che aveva trovato il proprio fulcro nei Bibiena, si volgono via via a compenetrare i canoni novatori e si possono porre di frequente a raffronto con le contemporanee e più note visuali veneziane. Interessante la grafica: dall’analisi dei numerosi fogli, conservati per la massima parte a Bologna, che consistono in studi preparatori per l’attività incisoria, quale era probabilmente il bellissimo paesaggio di Servigliano già segnalato da Luigi Dania, e in vedute e paesaggi di uno spiccato senso pittorico e naturalistico, la lacopini trae il profilo di «un insolito Panfili che si giova di toni delicati, sfumature, ombreggiature, riuscendo a rendere un’atmosfera rarefatta»: «non ci sono più le solite figurine o le lunghe processioni ad animare Bologna, ma strade ed ampie piazze deserte.., le zone d’ombra e la penombra solitaria dei portici, mentre improvvise lamine di luce irrompono nelle vie silenziose». Di particolare rilevanza appare quel foglio, cui la studiosa dedica la giusta attenzione, in cui sfilano «volti atteggiati in strane smorfie e paurosi ghigni», con occhi «incavati, straordinariamente rotondi, cerchiati di nero, quasi vuoti», «che rivelano trasalimenti ed inquietudini» ed aprono uno spiraglio su aspetti ignoti del temperamento dell’autore, solitamente sereno e tranquillo, ma a volte anche vivace ed arguto nel fissare gli angoli caratteristici della città e nel popolarli di figurine tipiche.


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